26 Feb I disturbi d’ansia in età evolutiva
I disturbi d’ansia sono tra le principali forme di psicopatologia per i bambini e gli adolescenti. Spesso questo problema è sottovalutato, poiché i bambini con un disturbo d’ansia non mettono generalmente in atto comportamenti negativi o critici, quindi non sembrano avere un vero problema.
Il DSM 5 (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali) descrive i disturbi d’ansia in una categoria specifica, e lungo il continuum del ciclo di vita: le medesime categorie sono infatti riferite all’infanzia, all’adolescenza e all’età adulta. Il DSM 5 identifica le seguenti categorie diagnostiche per i disturbi d’ansia: disturbo d’ansia di separazione; mutismo selettivo; fobie specifiche; disturbo d’ansia sociale (fobia sociale); disturbo di panico (specificatore dell’attacco di panico); agorafobia; disturbo d’ansia generalizzata; disturbo d’ansia indotto da sostanze/farmaci; disturbo d’ansia dovuto a un’altra condizione medica; disturbo d’ansia con altra specificazione e disturbo d’ansia senza specificazione.
Nei bambini e negli adolescenti l’ansia si manifesta principalmente con preoccupazioni relative agli impegni scolastici o alle prestazioni in generale, come gli impegni sportivi o sociali.
Può essere presente una tendenza al perfezionismo che genera uno stato di tensione, e questa a sua volta può portare ad un impegno eccessivo o a comportamenti di evitamento.
Nei bambini l’ansia può trovare espressione attraverso il corpo sotto forma di somatizzazioni quali cefalea, vomito, dolori addominali o agli arti, oppure si può osservare una riduzione delle capacità attentive o tendenza alla distraibilità e svogliatezza.
L’ansia, la preoccupazione, o i sintomi fisici causano disagio clinicamente significativo o menomazione del funzionamento sociale, scolastico, o di altre aree importanti. Il bambino ansioso, infatti, vive costantemente un vago sentimento d’oppressione, “un peso”, associato a un atteggiamento di attesa di un avvenimento vissuto come spiacevole e imprevisto.
Ma quando l’ansia diventa patologica?
Quando abbiamo una situazione di preoccupazione costante e continuativa che invece di facilitare le funzioni adattive determina una compromissione della qualità di vita del bambino. I criteri per definire l’ansia come patologica variano in base al contesto ambientale, ai valori culturali e all’atteggiamento all’interno della famiglia.
Occorre precisare la distinzione tra i termini paura, ansia e fobia (Grieger et al. 1983): la paura è una reazione di timore verso un evento esterno o una situazione, i quali siano obiettivamente pericolosi, oppure inoffensivi, ma tipicamente temuti da un bambino di una data età e con un dato sviluppo cognitivo. L’ansia invece viene definita come una eccessiva reazione apprensiva alle possibili conseguenze di un evento piuttosto che nei confronti dell’evento di per sé.
La fobia è un’eccessiva reazione apprensiva con tendenza all’evitamento nei confronti di un evento esterno o di una situazione che non sono obiettivamente pericolosi e tale reazione non risulta adeguata alla fase evolutiva del bambino.
Bowlby (1969), sosteneva che nelle persone esista fin dalla nascita un repertorio di comportamenti, chiamato “sistema dell’attaccamento”. In caso di pericolo, il sistema si attiva e il bambino mette in atto comportamenti che hanno l’obiettivo di ricevere aiuto o mantenere il contatto con la figura di accudimento, in genere la madre, per avere sicurezza e protezione.
Il modo in cui il bambino risponde ad un evento stressante è guidato dalle aspettative circa le probabili risposte della figura di riferimento alla sua richiesta di aiuto. In particolare i bambini con una madre imprevedibile, a volte accudente e altre assente o indifferente, sviluppano un attaccamento di tipo ambivalente. In occasione di un’esperienza stressante, si riuniscono alla madre in cerca di consolazione, ma allo stesso tempo sono resistenti al contatto. Per ottenere le attenzioni tendono ad esprimere le emozioni in modo esagerato, tanto da sembrare inconsolabili. Hanno un’idea di sé a volte amabile altre volte vulnerabile e il mondo esterno viene percepito come un luogo minaccioso e imprevedibile. Nella maggior parte dei bambini con un disturbo d’ansia è presente questo tipo di attaccamento. Per tale ragione tali bambini per ottenere attenzione ed esercitare il controllo su di essa, manifestano fobie, ansia da separazione, disturbi psicosomatici o disturbi della condotta (Attili, 2001).
In letteratura il dibattito sul peso dei fattori ambientali e dei fattori genetici nel determinare lo sviluppo dei disturbi d’ansia è particolarmente acceso. Secondo R. Rapee (2001), i fattori in grado di determinare l’insorgenza e il mantenimento dei disturbi d’ansia in età evolutiva sono tre: i fattori genetici; il temperamento del bambino e i fattori ambientali, i quali comprendono lo stile educativo genitoriale ed eventualmente l’ansia del genitore.
Tali studi hanno dimostrato che la genetica spiegherebbe al massimo il 40% della varianza, mentre i fattori ambientali sarebbero in grado di chiarire solo il 3-21% (Eley et al., 2003; Hallett et al., 2009). Nello specifico, nei bambini di 4 anni, l’inibizione e l’insicurezza sono comportamenti influenzati da fattori genetici per il 54-64%.
Per quanto riguarda le caratteristiche del bambino, è dimostrato come l’inibizione comportamentale e il temperamento influenzino lo sviluppo del disturbo (Grover et al.,2005; Bittner et al., 2007).
Lo stile genitoriale invece diventa, insieme alle cause genetiche, una delle possibili eziologie del disturbo. Infatti tra i fattori ambientali s’include la psicopatologia dei genitori e comportamenti genitoriali eccessivamente ansiosi che possono portare i bambini allo sviluppo di strategie di problem solving basate sull’ansia e sull’evitamento (Brennan et al. 2013). Il modo in cui madri e padri intervengono è di grandissima importanza: ad esempio, uno stile iperprotettivo o ipercritico potrebbero causare un danno alla sicurezza interna e all’autostima del bambino aumentandone la sensazione di scarsa sicurezza.
Il riconoscimento precoce di un problema d’ansia e una corretta presa in carico del problema può ridurre il rischio che si sviluppino problemi più gravi in una fase successiva, o che s’instaurino delle patologie.
Diversi studi effettuati dal 1994 ad oggi hanno portato prove di efficacia della terapia cognitivo-comportamentale nel trattamento dei disturbi d’ansia nei bambini e negli adolescenti. L’intervento cognitivo-comportamentale applicato in età evolutiva è un tipo d’intervento breve, strutturato e basato sul principio che pensiero, emozione e comportamento sono tre aspetti del funzionamento dell’individuo che interagiscono in continuazione e si influenzano reciprocamente.